Senza un senso. Senza stimoli. Inzuppate di malinconia al punto che non ti basta strizzarle, gocciolano ancora e non si asciugano perché l’umidità non è solo fuori, ma dentro. Capitano. A volte non c’è un motivo, il più delle volte sì. Ma sapere che c’è una causa, che puoi dare un nome a quello che senti, non ti aiuta più di tanto se non puoi usare una gomma e cancellarlo fino a strappare il foglio perché ci sono cose, eventi, situazioni che si scrivono con inchiostro indelebile e quei buchi strappati servono solo a rendere ancora più permanente qualcosa a cui vorresti solo non pensare.

Allora fai ciò che forse non devi, ma è l’unica che pare funzionare, da sempre: ti ritiri. Riprendi quel guscio che hai riposto sullo scaffale più alto dello stanzino e lo indossi, una volta ancora, perché non puoi restare allo scoperto, sarebbe una follia, diventeresti carne da macello che ogni cosa, ogni persona può calpestare. Lì il cervello non conta più niente, la tua parte razionale si è preso un periodo di ferie a tempo indeterminato e resta solo l’istinto atavico di difesa, quello che detta le regole della sopravvivenza e che è capace di mordere anche una mano amica se solo si azzarda a entrare.

Poche, pochissime sono le persone a cui è concesso di varcare timidamente quella soglia senza che vengano sbranate, ma il più delle volte non lo sanno o, se lo sanno, hanno paura e non sanno come fare. Ma tu non puoi farci niente, è il cervello rettiliano che comanda, ricordi? Non puoi preoccuparti anche di loro, non puoi spendere energie che non hai per altri che non sia tu. E così aspetti di guarire, sapendo che passerà del tempo. Ti rintani e ti raggomitoli in quel guscio per provare a stare un po’ più comoda e aspetti, consapevole che chi è all’esterno non potrà capire. Non è tenuto a farlo e il più delle volte non sa come comprendere quel senso di solitudine e devastazione e abbandono che tu conosci bene perché ha radici lontane. È parte di te, da sempre. È la tua salvezza e la tua maledizione. Se ne uscirai, se ce la farai anche questa volta, ci sarà tempo per contare i pezzi che hai perso, ma non adesso. Ora non puoi, non te lo puoi permettere.

Quello che è stato non si cancella. È come la sabbia: si deposita, ingoia tutto, ma si solleva al primo alito di vento e ti mostra qualcosa che non ti aspetti, qualcosa che supponevi perso per sempre.

Come la sabbia. Forse è per questo che amo così tanto il mare.

Con il cuore, sempre.