I social media sono ormai entrati nella vita di tutti, o quasi tutti noi. C’è ancora chi non sa nemmeno cosa siano, ma credo che siano rimasti in pochi e in questo piccolo gruppo d’élite inserisco anche i miei genitori.

Di social si vive. Di social si parla. A volte bene e a volte male. Ma in fondo questo è uno strumento e l’uso che se ne fa non dipende dal mezzo, ma di chi lo utilizza. Cioè, con un coltello si può commettere anche un omicidio, ma se quello stesso coltello lo uso per affettare e sminuzzare carota, sedano e cipolla, viene fuori un soffritto all’altezza del miglior ragù (e perdonatemi l’esempio della massaia, come diceva una mia insegnante al liceo).

Sui social ci svaghiamo, condividiamo, tagghiamo, screenshottiamo e chi più ne ha più ne inventi. Spesso i social diventano il mezzo attraverso i quali promuoviamo i nostri interessi e/o il nostro lavoro. Personalmente, grazie ai social, ho iniziato a far leggere a qualcuno di diverso dal mio gatto quello che prima custodivo gelosamente su diari e quaderni: i miei scritti, le mie emozioni che si trasformano in parole. Belli o brutti, questo non sta a me dirlo.

 

 

Non posso sapere cosa accada a chi usi i social per promuovere e far conoscere il proprio lavoro, ma so cosa è accaduto a me in questi anni di scrittura sul web, prima, e promozione di libri, poi. Sì, perché tutto è cambiato rispetto a quando Facebook (per citarne uno) era per me solo il luogo virtuale per restare in contatto con gli amici e giocare a Farmville. Perché ricordate Farmville, vero? Bei tempi quelli in cui anche un gioco serviva per socializzare e i tuoi contatti virtuali non si preoccupavano solo di chiederti vite gratis (che ormai ne hanno accumulate tante da vivere nei secoli dei secoli), ma era necessario impostare la sveglia per ricordarti che c’era il raccolto del vicino a cui provvedere e le povere bestiole a cui dar da mangiare e se andavi a cena con gli amici si parlava delle nostre fattorie e della dura vita nei campi. Mi sono persa. Cosa volevo dire? Ah sì, che quelli erano bei tempi. A distanza di qualche anno hanno già quella patina di antico che addolcisce i ricordi e li pervade del profumo di cose buone.

Nulla a che vedere con le lotte fratricide tra pagine amiche a suon di segnalazioni anonime, con le dispute tra arrampicatori social a suon di tweet per diventare Tweetstar (che poi, che significa? Che se i tuoi cinguettii sono seguiti da più follower del vicino, quando vai a comprare il prosciutto il salumiere ti chiede l’autografo sul San Daniele piuttosto che sul crudo in offerta?), con coltelli tra i denti per un numero di stelline inferiore al cinque (pare che l’assegnazione di un numero di stelle inferiore a tre stia per diventare una attenuante nei reati penali, voci di corridoio) o con autori che spuntano come funghi e poeti creati dalla spuma del mare semplicemente perché sono stanchi di leggere gli altri e ‘visto che quello è mio amico e scrive, perché non lo posso fare pure io? Che ci vuole? In fondo è come in cucina: un ingrediente qua, uno là, metti tutto nel mixer, mescoli bene ed è fatta‘. Tanto vanno tutti così di corsa che pure se leggono la stessa cosa, stropicciata e riadattata, non si accorgono di nulla e comunque c’è la nuova legge sugli sprechi alimentari e non si butta più nulla. Si, va be’, qua parliamo di scritti, non di lattuga, ma per molti non fa tutta questa gran differenza.

 

 

Tutto ciò con buona pace di travasi di bile, gastriti e attacchi di colite. Eh sì, perché se dici quello che pensi rischi di ritrovarti screeshottato chissà dove, con tali spargimenti di veleni e illazioni e pretese di giudizio che non fai ancora in tempo nemmeno ad andare in bagno e sei già condannato. Allora taci, però non ce la fai a ignorare quel fake che, lo sai con assoluta certezza, è lì solo perché ha letto troppi libri di spionaggio e ha finito per calarsi nella parte. O a sorridere a chi con una mano ti liscia il pelo e con l’altra ti vorrebbe sotterrare.

Sei disponibile al dialogo? Sei falsa come una banconota da sette euro.

Mantieni le distanze? Sei una snob e te la tiri.

Scrivi un pensiero o una poesia? Da qualche parte ci sarà qualcuno che ti riciclerà.

Pubblichi un libro? Da qualche altra parte qualcuno dirà che lo avrebbe scritto meglio di te o che lo hai copiato perché… Diamine! Sei un suo amico di facebook o amico di amico di amico, può mai essere che tu sappia fare qualcosa di cui non è anche lui o lei capace?

Dura. È dura la vita così. Sembra di essere in un gran condominio dove la maggior parte degli inquilini non hanno altro da fare che pensare alle bacheche degli altri. C’è la signora Maria n°1 che ti sbatte i tappeti sopra la testa e ti riempie il balcone di sporcizia, la signora Maria n°2 che sta sempre attaccata allo spioncino e sa tutto di tutti, la signora Maria n°3 che ti saluta con un gran sorriso e ti sparla alle spalle e… non è necessario continuare, ci siamo capiti.

In questo mondo 2.0 dove impera la comunicazione 2.0 e la scrittura è ormai 2.0 come può sopravvivere uno scrittore?

Uno scrittore non lo so, ma io una scelta l’ho fatta (dopo travasi di bile, bruciori di stomaco e attacchi di colite, lo ammetto). Essere un po’ meno presente, almeno come quantità di tempo. Togliere gran parte delle notifiche così da non vedere e non sapere, perché si sa, occhio non vede e cuore non duole. Essere sempre me stessa, ma dando un po’ meno, rinforzando cioè un po’ quello schermo, quel filtro che, almeno nel mio caso, ho bisogno che ci sia tra il mondo virtuale e quello reale. Perché l’amicizia non è scontata per il solo fatto di essere in contatto sui social. L’amicizia, almeno per me, viene con il tempo, si misura alla distanza e solo dopo aver affrontato un certo numero di conflitti. Perché i legami veri sono quelli che ritroviamo proprio dopo una discussione, una divergenza d’opinioni. Dopo ogni scontro si rafforza la consapevolezza che l’altro/a ci accetta nel nostro essere diversi, nel nostro avere idee a volte anche opposte e non per l’idea che di noi ha dentro di sé.

Così sono più serena. Così scrivo di più. Così sono davvero me stessa.

In conclusione, ho capito che forse non sono una scrittrice 2.0. Per qualcuno non sono nemmeno una scrittrice. Per qualcun altro ciò che scrivo emoziona. E per me? Per me la scrittura è una parte importante di me, del mio essere, della mia vita. Continuerò, in primis per me stessa. Perché mi fa stare bene. Perché amo ciò che faccio e amo farlo al meglio delle mie possibilità. Perché quando le mie emozioni diventano poesie o racconti o romanzi, sapere che, da qualche parte, qualcuno sta vibrando all’unisono con le mie emozioni mi rende immensamente felice e più vicina ad altre anime di quanto nessun social possa fare.

E il resto?

Parafrasando Califano, tutto il resto è noia.

Con il cuore, sempre.